IL PASSATORE - LA STORIA DEL BRIGANTE STEFANO BELLONI
scritta da Turiddu Bella musica Ignazio Privitera 

 canta: Vito Sant'angelo 

 

 

   

 

 

 

 

Signori mei, qui è il canstatorie Vito Santangelo, sono venuto a cantarvi la vera e completa storia del brigante romagnolo Stefano Pelloni scritta di Turiddu Bella e musicata di Ignazio Privitera, ascoltate che ne vale la pena.

Sforzo la musa mia per raccontare la vita, le avventure, il triste amore
tutte le imprese, le sequenze amare di quel bandito detto il Passatore che per capriccio di un prete furfante venne costretto a diventar brigante.
La nascita dell'uomo è interessante, fu un segreto d'amore veramente, d'una duchessa che aveva l'amante pur essendo sposata in quel frangente 
(sapete con chi era sposata la duchessa d'Alba)

con in conte Dolora, un uomo strano tirchio, geloso, brutto geloso e molto anziano. 
Sissignore a quel tempo le ragazze sposavano con il volere dei genitori, 
i matrimoni venivano combinati col volere del padre e le povere ragazze dovevano prendere il marito che era stato per loro prescelto, nche la contessa D'alba pur amando il conte Giovanni Mastai Ferretti, aveva dovuto sposare il rimbandito conte Corona, ma la contessa D'alba si vendicò ben presto di quel suo forzato matrimonio ed approfitto nelle feste di Carnevale, si fece portare dal suo marito in un veglione danzante e li si incontrò col suo Giovanni e nella confusione della festa ne approfittò e se ne allontanò con l'amante, rimase con lui tutta la notte, il marito intanto cercava la moglie come un pazzo fra la folle: Conte avete visto mia moglie? No mi dispiace
Duca avetye visto mia moglie? Ma dove è andata? No, non l'abbiamo vista
Signori, la moglie ritornò dal marito l'indomani mattina , cercò di scusarsi, ma il marito gli rispose: Basta signora ho capito tutto, saprò se mi avete tradito e decise che per nove mesi non avrebbe diviso con la moglie il letto matrimoniale.
Intanto la contessa che aveva tradito il marito, ingrossava ogni giorno di più, la pancia Le si arrotondava più rotonda della luna e quando fu l'ora di partire essendo che aveva nascosto il suo stato si ritirò in un suo castello presso Albano

Li ebbe un figlio bello e sano, frutto di quel suo amore adulterino e lo affidò ad un ottimo villano d'una villa vicino, contadino, tale Vincenzo Pelloni chiamato, uomo da bene onesto ed onorato.

Gli confidò quale era il suo peccato e gli raccomandò di stare muto, gli disse: tieni mio figlio, crescilo educato che per denaro ti verrò in aiuto e quando lo battezzi devi dare Stefano il nome e Giovanni macari.

Stefano per il giorno ricordare, della la nascita sua, gioia e dolore, Giovanni pure si deve chiamare, come suo padre, il mio più grande amore.

Vincenzo ad ubbidirla le promise ed intanto ad emigrare si decise.

Così il figlio della contessa D'Alba venne abbattezzato assieme ad un figlio di Vincenzo Pelloni nato nello stesso giorno e poi morto e gli venne imposto il nome di Stefano Giovanni e il cognome di Pelloni, La contessa consegnò a Vincenzo una medaglia portante gli stemmi gentilizi di lei e del conte Mastai e la data di nascita del figlio, poi ritornò a Roma e non si fece più vedere dal campagnolo. 
Vincenzo ricevette pure una grossa di denaro dalla duchessa e con quella somma comprò una casetta vicino Faenza, sulle rive del fiume Lamon,e un pezzetto di terra, una casetta e una grossa barca con la quale istituì un servizio di traghetto da una riva all'altra del fiume divenendo così il Passatore.

Stefano, intanto, pieno di vigore cresceva bello e si faceva amare, da quel suo putativo genitore perchè era buono e ci sapeva fare, dimostrandosi sempre affettuoso, intelligente bravo e studioso.

Quel padre tanto buono ed amoroso, di farlo sacerdote fu d'avviso e pure non essendo facoltoso, si sobbarcò alla spesa assai deciso, così quel ragazzetto com'è d'uso, in un gran seminario fu rinchiuso.

Si, il padre a Stefano Pelloni lo voleva fare prete ma c'è un vecchio proverbio che dice, matrimoni e vescovadi son dal cielo destinati, si vede che Stefano non era destinato a diventare prete, infatti il giovanotto non appena compito diciotto anni si accorse di non essere fatto per quella vita, rinunciò quindi alla sua missione e ritornò a casa dove aiutava il padre nel suo mestiere di passatore.

Viene quel giorno che l'amore batte e i giovanotti prendono le cotte, e quando con l'amore si combatte non c'è più pace ne giorno e ne notte, la mente è fissa nell'amato bene e sempre agitata si mantiene.

L'amore è fatto di gioie e di pene, delle imprudenze più audaci e strane, di gelosie e di zucchero e veleni, di dolci baci e parole vane e l'uomo che ad amare si dispone diventa schiavo di cotal passione.

Povero Stefano Pelloni, così gli è successo a causa dello'amore fece una brutta fine
Dovete sapere che si era fidanzato con una giovanetta orfana di padre, una certa Carmela, la quale a causa della malattia della madre paralitica, aveva per tutore un prete, detto Padre Don Frediano, Carmela era bedda assai, Don Frediano era un vero dongiovanni, il quale nutriva per la ragazza una insana passione e l'uomo birbante aspettava il momento adatto per sedurla, quindi quando seppe dell'amore fra Stefano e Carmela, pazzo di gelosia, Don Frediano, impose alla ragazza di rompere con Stefano ogni rapporto. le disse Syefano è un cattivo soggetto, un delinguente, non è degno di te, devi dimenticarlo lo scopo era signori miei, che il prete la voleva a Carmela, si ma intanto Stefano e Carmela si incontravano ognis era, come al solito in campagna e una sera il prete, nascosto dietro un cespuglio, ascoltò le parole che si dissero i due fidanzati Carmela disse: Stefano amore mio, senti io lascerò appeso alla finestra un pezzo di stoffa, tu quando vedrai questo segnale potrai venire che mi troverai sola; signori miei, il prete, nascosto dietro il cespuglio, sentendo queste parole, sentite cosa fece, preparò la sua vendetta.

Stefano l'indomani di vedetta, scorge il segnale e appena è notte fitta, verso 
l'appuntamento il passo affretta inforcando il sentiero a mano dritta e giunto poi in casa della amata scavalca il ferro della cancellata.
Trova la porta di casa accostata che pare proprio che ad entrar l'invita e lui posa le scarpe nell'entrata e delle scale inizia la salita, poi scalzo e piano per non far rumore, si dirigì alla stanza del suo amore.

Povero, giovane, non aveva ancora salito metà di scale quando si sentì serrato alla vita e s'accorse che quell'abbraccio non era della fidanzata, perchè non riceva baci, riceveva pugni, gomitate, perciò povero giovane doveva lottare: Ma chi siete, (c'era buio signori) Stefano non ssapeva con chi lottava, laciatemi, poveretto si doveva difendere e allora si difese con tutti i modi, pugni testate, gomitate, ad un certo punto Stefano, mentre si lottava con quelle persone ignote per lui, signori, sentì la voce di Don Frediano che gridava: Arrestatelo, è un ladro, nello stesso tempo Stefano si sentì afferrato dal prete, che riuscì a mettere in tasca una scsatoletta contenenti alcuni anelli d'oro e una collana, ma Stefano, con uno strattone si liberò del prete e con un pugno in pieno viso lo buttò per terra, poi approfittando del buio e della confusione riuscì a scappare; Stefano, arrivando a casa, si accorse della scatoletta che aveva in tasca lo immaginò che era stato il prete e fu preso da una tremeda ira.

La rabbia più potente lo governa e l'accusa di ladro lo frastorna, vi giuro, padre, mio per l'ostia eterna, netto, innocente vostro figlio torna; il padre gli disse Stefano allora non sai niente di questa scatoletta? No e quest'oro che c'è nel mio tascino fu messo apposta dal prete meschino.

Il padre gli disse: Sei perso, figlio mio, il tuo destino è nelle mani del prete Frediano e prima ancora che giunga il mattino, sarai arrestato, se non vai lontano, quindi se tu nontu vuoi vergogna e pene scappare nottetempo ti conviene

Aveva ragione di parlare così il padre di Stefano perchè Don Frediano era la suprema autorità del paese, in quei tempi dove dominava lo Stato Pontificio e dunque il povero Stefano partì quella stessa notte, insieme al medico Pierluigi Carlo Farini e a un altro giovane, si, verso Rimini poi combattè coi rivoluzionari contro il governo pontificio, prima di ripartire raccomandò alla madre di riportare i gioielli al prete e soggiunse

Sono innocente, madre ricordate, presto ritornerò se avrò salute e tate verità saran svelate e i nemici miei saran perduti, perchè da oggi, parola d'onore, Stefano muore e nasce il Passatore e la casa lasciò con gran dolore con una spina pungente nel suo cuore, gli disse parto e mi scorderò le mie sventure, dove si lottano i preti o si muore ma un giorno giuro che la mia vendetta sarà la più tremenda e più perfetta.

La rivolta di Rimini fallita fu nel sangue ben presto soffocata e per Stefano quindi fu finita, povero giovane, perchè venne arrestato all'impensata e per quattro anni interi fu gettato dentro una fredda cella carcerato.

Mentre Stefano era in cella don Frediano, prete scellerato, (il tutore di Carmela, il tutore della fidanzata di Stefano), di Carmela gran cura aveva avuto, l'aveva in un convento relegato, dove era confessore l'uomo astuto, potendo sol così senza lottare l'amante di Carmela diventare

Vedete quanto fu scaltro Don Frediano, sissignori, con la scusa che Carmela era rimasta sola, dopo la morte della madre paralitica, il prete la fece rinchiudere in convento, nello stesso convento dove lui era il confessore delle monache, una volta avutala in sua balia, incominciò la sua opera di seduzione, vigliacco infame, per prima cosa cercò di smorzare nel cuore del ragazzo l'amore per Stefano e raggiunse il suo scopo parlando male del giobane, gli disse: E' un ladro, un assassino, uno senza Dio, devi dimenticarlo e ho saputo che si trova in carcere, perchè uno che non sta nella giusta via, finisce in carcere, glielo descrisse talmente delinguente che la povera Carmela gli credette e a poco a poco dimenticò il suo antico innamorato, poi il prete vigliacco incominciò a circuire la ragazza gli diceva: Ma quando sei bella Carmela, sei molto bella sai, per me sei la donna più bella del mondo, signori, dopo tati corteggiamenti la fece sua, prete vigliacco.

Stefano, intanto, tra peni e tormenti, quattru anni avia passto in quei recinti, un di la cella sua aprir si sente ed entra un uomo di modi distinti, sospinto avanti da due carcerieri villanamente con brusche maniere
Rimasti soli quei due prigionieri, fra di loro si misero aparlare e l'uno esterna ll'altromi suoi pensieri e vuol la sua sventura raccontare, Stefano disse sono carcerato, ingiustamente di latro accusato.
Io sono in questo carcere gettato, rispose allora quel nuovo venuto senza avere nell'anima peccato, salvo la colpa d'essere un cornuto, Paloma Daniele, il nome mio, son commerciante onesto e lo sa Dio.
Paloma Daniele a Stefano gli raccontò la sua triste storia, avvilito gli disse: io sono un commerciante di gioielli, avevo una mpoglie bellissma che amavo più della mia vitae due figlioletti, un giorno la mia sposa mi piantò e fuggì via di casa portando con se i miei figli, per tale fatto mi rivolsi al tribunale, ma il tribunale mi diede torto, dicendomi che essendosi mia moglie battezzzata e fatta cristiana, aveva fatto bene a lasciarmi, anzi annullò il mio matrimonio con Giuditta, capisce, dopo alcune settimane lo stesso tribunale ecclesiastico gli ha permesso di sposare il suo amante condannandomi di pagare trenta scudi al mese da versare agli sposi, vedi quale ingiustizia e solo perchè a tale condanna mi misi a gridare, il cardinale Pizzoni, presidente del tribunale mi accuso alla magistratura e mi fece arrestare e portare in questo carcere, questa è tutta la mia storia. Stefano si commosse a racconto e promise di vendicare il povero Daniele, gli disse: se ho la fortuna di uscire da questo cacere, Daniele credimi, ho capito che sei un uomo sfortunato come me, ti giuro che se avrò lafortuna di uscire da questo carcere ti vendicherò, ma chissà quanto ancora dovrò stare in questo carcere, rispose l'israelita, non ti preoccupare Stefano, io prima uscirò daquesto carcere e farò usciore anche te
Da qui presto uscirò stanne sicuro perchè ho pagato già tanto denaro, l'oro ammollisce pure un cuore duro e diventare fa dolce l'amaro e infatti Daniele l'indomani fu scarcerato e uscì da quelle tane e non si dimentico di fare uscire pure Stefano e le promesse sue non furon vane, Stefano fu aiutato e scappò infine, da quella cella dove come un cane aveva passato quattrro anni meschini e quando fuori fu dalla prigione si intese più potente di un leone.

Una volta scappato dal carcere Stefano Pelloni disse adesso mi devo vendicare di tutti queeli che mi hanno fatto male.

Roboama Osina, ricco commerciante, d'origine israeita veramente, si era battezzato tempo avanti per i suoi scopi e cristianamente, ora faceva illeciti guadagni insieme a certi preti suoi compagni.
Di tutto il grano di quelle campagne, faceva incetta ma con mire indegne, per venderlo di poi a prezzi magni ricavando denari ed altri pegni 
ed aveva arricchito il suo taschino a scapito del popolo meschino.

Ad Roboama Osina, una sera un fraticello cappuccino gli avvicinò. mentre Roboama si trovava in piazza, quel fraticello cappuccino gli disse: Il vescovo mi manda per dirici che vi aspetta per un affare iomportante da concludere subito, portate con voi una buona somma di denaro perchè trattasi di una grossa partita
Gli affari tra il vescovo e Roboama non erano infrequenti di quei tempi, ma quel giorno Roboama non aveva addosso una grossa somma disse al fraticello: Ritornate dal vescovo e ditegli che verrò da lui non appena andrò a casa a prendere denaro. Il frate rispose vengo con voi poichè debbo accompagnarvi personalmente da sua Eminenza, e infatti lo accompagnò fino a casa, qui giunto il commerciante andò fino alla sua cassaforte e la aprì per prendere il denaro necessario, ma in questo mentre il monaco lo afferrò per il collo. ma che fate? si vieni qua, lo buttò sopra una poltrona tappandogli la bocca con uno straccio e legandolo come un salame, poi prese tutto il denaro dalla cassaforte e i gioielli e scappò, signori miei, quel falso cappuccino era Stefano Pelloni, il Passatore
Non appena in possesso dei quel denaro Stefano si formò una grossa banda

La prima cosa che fece all'istante, fu di mandare immediatamente a Faenza un bandito stravagante in quel convento e più precisamente (sapete in quale convento) da Carmela l'antica innamorata, ora monaca santa diventata)
e quel bandito, con faccia truccata, si travestì di donna mansueta per fare ancora meglio l'ambasciata, la mascherata fu assai completa di fatti le parlò con eloquenza nel parlatorio in tutta confidenza. 

Il bandito Faenza si travestì di donna e parlò con la fidanzata di Stefano e gli disse: Sono una donna religiosa, che vado tutti i giorni a messa e mi comunico ogni mattina, quindi per scrupolo di coscienza debbo avvisarvi che è scappato dal carcere il terribile brigante Stefano Pelloni il quale cerca Padre Don Frediano per fargli la festa, sapendo quado lui sia cattivo sono certa se capita il povero prete lo scanna come un capretto. Carmela a queste partole tremò per il suo amante, bisogna che Padre Frediano sia avvisato subito, voi che siete una donna pia tanto affezionata alla madre Chiesa dovete fare il favore di portere un mio biglietto con il quale lo metto in guardia; la finta donna acconsentì certo e Carmela scrisse al prete: amore mio vieni presto, non tardar, ne va della tua vit; gli consegnò il biglietto e quella fnta donna se ne andò, certamente il bandito Faenza portò quel biglietto a Stefano Pelloni, poi Stefanio dopo averlo letto lo fece arrivare a Don Fredianpo, Stefano disse: Mala femmina, donna senza onuri ora faremom i conti.

La notte era calata in ogni punto, tutto coprendo col suo nero manto 
e Carmela aspettava per l'appunto, (a chi aspettava?) il confessore suo che amava tanto, a un certo punto Lei sentì il segnale del sacerdote che fu puntuale.
Lanciò dei sassolini nel portale e chiamò poi con bocca di miele 
a voce bassa e con tono fatale, Carmela, la più bella di tutte le Carmele 
e Carmela affacciò dalla finestra e una scala di corda buttò a destra,
(donna sdisonesta, aveva sempre così la monachella per ricevere di notte il suo innamorato, non appena Don Frediano fu nella celletta della ragazza se la strinse al petto e la baciò, gli disse Carmela ti voglio bene sempre di più, ti voglio bene. E allora lei le disse senti, Frediano, amore mio fatti parlare è venuta una donna mi ha venuto a confidare che ti sta cercando il bandito Stefano Pelloni, se ti prende ti uccide, ti fa fare una brutta fine, perciò, amore, mio devi scappare, devi nasconderti. 
Rispose Padre Don Frediano, non ti preoccupare penserò io a fare arrestare questo bandito, vieni, poi la trascinò sul lettino e appoggio la testa di lei sul suo petto.

Mentre Carmela con slancio ed affetto, dava l'amore suo a quel farabutto, un uomo armato e di feroce aspetto irruppe dentro e si mostrò del tutto, dicendo: infame coppia puzzolente vi sorpresi sul fatto finalmente.
Egli era il Passatore la presente, tremaronmo perciò i due amanti, Don Frediano poi batteva i denti a sol vedersi Stefano davanti e Stefano con sdegno e con furore per il petto afferrò quel confessore.

Sbattendolo con rabbia gli disse: Uomo vile, assassino dell'onore e della mia pace 
cosa ti avevo fatto serpente di tori per accusarmi di ladro, sei stato tu a mettermi la scatoletta con gli anelli d'oro in tasca, parla, confessa la mia innocenza innanzi a Dio e a questa malafemmmina
Il prete tutto tremante di spavento confessò la sua trama e buttandosi in ginocchio gli disse: Stefano non mi uccidere, ti prego perdonami. A sentire tali fatti Carmela gli
sputò in faccia al prete Puh!!! vile traditore, allora mi hai ingannaro, poi come una belva scatenata gli si lanciò addosso e a quel pretaccio lo graffiò tutto in faccia, lo ridusse un ammasso di ferite, poi rivolto a Stefano Carmela con voce accorata gli disse: Stefano mio perdonami, ti prego, perdonami. E' troppo tardi ormai, rispose il brigante, piangi la tua sventura
Intanto sanguinante e con paura a morire quel pretaccio si prepara, perchè riflette in quella congiuntura che la sua colpa da pagare cara
(chi male fa male aspett.a dice un proverbio che non sbaglia) 
Stefano fece un fischio in quell'istante e venne dentro un giovane brigante.
Comandi capo, tieni la donna un poco più distante
e se fa gridi ammazzala in un niente, disse Pelloni a quel birbante il castigo gli inflisse finalmente (questo castigo diede a Don Frediano) che cosa fece? il naso gli tagliò con un coltello e dopo lo castrò come un agnello.

E così il prete pagò a questo caro prezzo tutto il male che fece, sentite ancora perchè non è finita la storia del Passatore

IL famoso arcivescovo pPizzoni superbo e prepotente senza fine fu vittima di Stefano Pelloni che non guardava le vesti divine e i preti li trattava tutti uguali dal cappellano fino al cardinale.

Il prerlato facea l'abituale passeggiatina al tramonto del sole
con la carrozza sua e col vetturale che guidava una coppia di muli, internandosi in mezzo alla campagna, per respirare l'aria pura e magna.

Giunti ad un certo punto il prelato scese dalla carrozza e si avviò a piedi e solo e soletto si diresse verso un boschetto di pini, aveva fatto una cinquantina di passi quando da una fitta massa di rovi uscì un giovane robusto e fiero, di aspetto civile, gli disse arcivescovo fatemi l'elemosina, rispose l'arcivescovo: non vi vergognate di elemosinare così giovane? l'apparenza inganna eminenza, la verità è che ho bisogno della vostra carità. Andate fannulloni, per gente come voi il mio cuore è chiuso
Ah! così la pensi monsignore, così segui gli insegnamenti dui Cristo ebbene allora ti dico che devi sborsarmi subito mille scudi così ti ricordi di Stefano Pelloni e farai più spesso la carità ai poveretti.
Signori miei, a sentire ciò, l'arcivescovo divenne bianco come un panno lavato, gli disse dovrò andare a palazzo per prendere i mille scudi perchè qui non ce l'ho, ma Stefano naturalmente non acconsentì, l'arcivescovo restò suo ostaggio ed in città venne inviato il vetturale con l'ordine di portare il denaro, in questo frattempo il brigante si ricordò della promessa fatta io carcere a Daniele e ottenne la promessa dall'arcivescovo che quel poveretto non avrebbe più pagato i trenta scudi alla moglie, non solo ma ottenne che uno dei figli fosse restituito al padre, l'altro sarebbe rimasto con la madre, non essendo figlio di Daniele, ma dello stesso Opizzoni, questi furono i patti.
Frattanto il vetturale torna e viene, ben caricato di tanti zecchini e Stefano Pelloni si trattiene i mille scudi si lucenti e fini, libero siete monsignore andate ,ma vi consiglio i patti rispettate, si, rispose l'arcivescovo non li rispetterò, non dubitate disse Opizzoni ma non vi offendete se in una delle prossime giornate riprenderò gli scudi che ci avete, rispose Stefano tentate monsignore ma se fallite me ne date altrettanto che ne dite.

Stefano non era un fesso, signori miei, e capì che l'Arcivescovo avrebbe mandato contro di lui tutte le truppe del circondario, sia per vendicarsi, chr per riprendersi i mille scudi, dispose quindi tutti gli uomini sugli alberi del bosco vicino e quando l'indomani le truppe papaline si avventurarono nel bosco per prenderlo vivo o morto, ne fece una carneficina, la maggior parte dei soldati rimasero morti, molti fuggirono e il colonnello comandante fu fatto prigioniero.

Pio Nono, papa buono giusto e santo, era in quei di in vacanza proprio giunto, presso Castel Gandolfo che sta accanto alla città di Roma per l'appunto in una villa assai sfarzosa e magna e dei papi dimora di campagna. 
Il pontefice aveva alle calcagne la nobiltà piu splendida e più degna che alla villeggiatura lo accompagna perchè c'è corte dove il papa regna, vescovi, cardinali preti, abbati il fior fiore dei migliori prelati
Nell cittadina si era raccolta molta folla, sia per veder il papa, sia per ascoltare un celebre predicatore che doveva venire a Roma proprio in quel giorno

IL papa era seduto in una monumentale potrona scolpita in oro fra il cardinale Antonelli e il suo confessore in attesa che incominciasse la predica 
all'ora stabilita salì sul pulpito un giovane prete di nobile presenza il quale si inginocchiò, si fece il segno dell croce ed incominciò.

O preti che l'egoismo vi conduce, d'oro e d'argento essere rapaci, di paradiso non vedrete luce se restate di satana seguaci, se userete razza d carogne, la falsità l'inganno e le menzogne 
Smettetela di far tante vergogn,e bocche d'inferno e cuori di macigni, fate tesoro di queste mie rampogne, non siate nè crudeli nè maligni 
non fatevi chiamare dalla gente patri e maestri troppu di frequente 
A sentire quelle parole ogni prelato diventò rosso per la vergogna 
Il Papa credeva di avere un incubo e non sapeva capire cosa intendeva dire quello strano tipo di predicatore, ma quello continuava la sua predica investendo i ricchi dicendo che non era per essi il regno dei cieli ed invitava i presenti a fare tante elemosine per riscattare i loro peccati.
A questo punto si vide una moltitudine di monaci entrare da tutte le parti della chiesa e spargersi in mezzo ai fedeli tenendo in mano un lungo fucile alla cui estremità era legata una borsa di stoffa, si soffermavano dinnanzi ad ognuno e come se salmodiassero dicevano: fate la carità che abbiamo fretta, solo i ricchi però, gli altri niente; succersse un parapiglia, si signori miei, la gente spaventata cercava di scappare, ma dinnanzi alla porta c'erano atri monaci armati che impedivano l'uscita a chicchessia. La voce possente del predicatore allora disse: Silenzio, calma e si scusò col Papa, gli disse: Pap,a scusate di tutto questo disturbo che vi sto arrecando e tutta questa scortesia, la colpa non è vostra, voi siete un santo uomo, ma i vostri ministri e quelli che vi circondano non sono degni di indossare quella veste.

I vostri ministri hanno la mania di darmi molto spesso qualche noia 
e m'hanno fatto fare tanta via per venire a esigere con gioia 
i cinque miila scudi belli e buoni promessi di Pelloni,
or quella testa è qui e a voi si espone, guardate ministri sbirri e affini
e se ne avete proprio intenzione, vengtela a pigliare e senza spine, 
non prima che la taglia avrò pagato l'illustre segretario di Stato.

Con una voce che non ammetteva repliche invitò tutti i nobili a raccogliere tra denaro e gioielli cinque mila scudi, fu obbedito subito e non appena avuto la somma indietreggiando con i fucili puntati sulla folla i banditi si dileguarono.

Fra tante imprese audaci del brigante ve ne fu una che non ha confronti
e fu una impresa molto interessante perchè bene tornarono i suoi conti 
in maniera cotanto originale che raccontarlo in ver la pena vale
S'era sposato un grande generale e far la festa lo sposo si vuole
per cui Opizzoni, noto Cardinale, misa da parte la mitra e le stole 
organizzando un giorno un gran festino in onore della sposa e lo sposino.

Il cardnale Opizzoni per rendere più solenni i festeggiamenti aveva invitato tate personalità della politica e della finanza, il conte Antonelli, segretario di Stato il conte Dadini minitro degli interni, Roboama Sina ricco finanziere, prelati funzionari eccetra eccetra, da Forlimpopoli aveva fatto pervenire una compagnia drammatica di celebri attori per dare uno spettacolo nel teatro della città, la sera della rapprsentazione il teatro era pieno zeppo e all'alzarsi del sipario anzichè attori si videro sul palcoscenico Stefano Pelloni e molti componenti della sua banda con i fucili spianati verso la platea. Lavoce di Stefano Pelloni ruppe il mormorio di sorpresa della sala: Fermi tutti ed ascolatemi senza fiatare.

Amici popolan ,mi scusate, se vi disturbo per cinque minuti,
della nosra presenza non tremate, che per voialtri non siamo venuti, 
state silenziosi per un momento ora incomincia un bel divertimento. 
Io ci ho bisogno dell'oro e l'argento posseduto dai ricchi per l'appunto 
e questa sera non sarò contento se coi signori ricchi non la spunto 
li tasso tutti, chiamo ad uno ad uno e della tassa non scappa nessuno.

In quel palco a sinistra c'è un mutilato, Padre Don Frediano che neha molti quattrini, mi paghi all'istante tre mila scudi, Roboama Sina, quel signore seduto in prima fila, essendo molto più ricco, ne pagherà sei mila. Ma come? Silenzio, Il conte Filippo Antonelli seimila scudi (Assassino) Sillnzio mentre il suo fratello cardinale ne paga dieci mila, altri decimila scudi ne pagherà il signor minisro di polizia e continuò di questo passo fino a raggiungere una grossa somma, infatti Stefano si ritrò con i suoi uomini, portando con se cinquanta mila scudi.

Non c'è di farsi alcuna meraviglia dice un proverbio antico che non sbaglia
se chi con una brocca l'acqua piglia, rompe la brocca fatta di terraglia,
la stessa cosa fu per il Passatore lui che ne combinò di ogni colore. 
Pieno di scorno e pazzo di furore Antonelli lo vuole sterminare 
e sbirri ne mandava in tutte le ore per la sua attività poter frenare 
perciò si fece a Stefano una caccia come si fa alla lepre o alla beccaccia

Si assoldarono spie, si seguì ogni sua traccia per stabilire quale era il nascondiglio della banda lo si attaccò ogni giorno, in ogni punto, Stefano Pelloni si difendeva come un leone, i suoi uomini erano valorosi e combatterono da eroi. ma il prefetto di Polizia inviò contro Stefano tutte le forze disponibili e un fatale giorno riuscì a circondare il Passatore e i suoi uomini. Il brigante si difese con coraggio, ma infine vistosi perduto disse: Non mi prenderanno vivo, no, non cadrò nelle loro mani, npn gli darò la soffisfazione di prendere il Passatore vivo, mi ucciderò con le mie sesse man,i Povero Stefano Pelloni, per non farsi prendere vivo, si tirò così un colpo di pistola in testa e così morì Stefano Pelloni detto il Passatore
Quando Padre Don Frediano fu informato della morte del suo nemico, volle vederne il cadavere e quando l'ebbe davanti, quell'uomo delinguente e boia volle sputarlo, gli disse Puh..., fimalmente sei morto è l'ora mia ti pesto infine delinguente e boia
ormai è finita la tua vita ria e calpestare ti potrò con gioia senza pensare il vile in quell'istante che fu per colpa sua quello brigante
Ma il castigo c'è per il birbante che dei suoi peccati non si pente e quel prete che visse da furfante, visse una vita di pene e di stenti , preso da epilessia cadde ammalato e morì solo afflitto e disperato