ARTICOLO SU "LA MATRI SNATURATA" (Placido Sergi)

 

questo articolo è stato scritto da PLACIDO SERGI in un articolo in Internet http://www.paternogenius.com/pagine/Placido%20Sergi/pagine/TraTradizione%20e%20personalit%C3%A0%20nei%20cantastorie%2040.htm

LA MATRI SNATURATA (8).
La « storia » si compone di 28 quartine di ottonari e sarà incisa su disco con l'ausilio della voce femminile; per la prima volta, quindi, Busacca si servirà di questa innovazione tecnica, già sperimentata con successo da altri cantastorie (9).
La « storia » si apre, come al solito, con l'invito del cantastorie agli uditori e con la presentazione dei personaggi:
Omini e tantu fimmini,
viniti e stati attenti;
iu vinni ppi cantarivi
stu fattu cummuventi.
Nda m-paiseddu picculu,
chiamatu Vintimigghia,
ci stava Petru Caccamu
spusatu e cu na figghia.
Ma la sventura piomba sulla famiglia felice: Angela, la moglie, «malvagia e cori 'ngratu», abbandona la famiglia per un ricco amante; lascia « tra chianti e lacrimi » Santa, la figlioletta, che « s'ammala di la pena ».
Dopo queste quartine iniziali, l'uso delle due voci fa sì che i dialoghi e i monologhi prendano il sopravvento sulla parte narrativa della « storia », fatto questo che si è già riscontrato in composizioni di altri cantastorie, cosicché l'ispirazione di questa composizione si fa essenzialmente lirica. Anzi, con un procedimento assolutamente contrario all'abituale andamento delle « storie » e alla stessa usuale concretezza della poesia popolare, Busacca più di una volta passa direttamente dall'uno all'altro dialogo senza collegare tra di loro le scene con la narrazione.
La « storia », quindi, rappresenta una indubbia evoluzione nella poesia di Busacca, rispetto, per esempio, a quella di « L'emigranti in Girmania »; infatti, la narrazione si interrompe e sono gli stessi personaggi a far conoscere i loro sentimenti e le loro passioni.
D'altra parte non si ha, come in composizioni di altri cantastorie, una narrazione continuamente interrotta dagli sfoghi lirici dei personaggi; ma qui sono i dialoghi stessi a costruire la vicenda della « storia », che quindi acquista un carattere più intimo, più introspettivo, più soggettivo.
In conclusione mentre le « storie », in generale, hanno un carattere epico e narrativo, la seconda voce ha fatto sì che una buona parte della produzione più recente dei cantastorie di Paternò avesse carattere lirico e drammatico (10).
Ma è ora di ritornare alla « storia »; all'abbandono della madre fanno seguito le tenere espressioni della figlia, che invoca il suo ritorno:
« Mamma, ti pregu, asciatimi,
cerca di riturnari,
lu to cunfortu portimi,
venimi a cunsulari.
Haiu priatu l'angili,
li santi e tutti pari,
ma nuddu voli sentiri
di fariti turnari.
Ora ppi mia disgrazia
sugnu malata assai,
si tu non torni, cridimi,
iu non guarisciu mai.
Ritorna e fammi sentiri
li duci toi carizzi;
li figghi non si lassunu,
li figghi su ricchizzi! ».
Frattanto « dda malvagia fimmina » (Busacca non la chiama più madre) vive nel lusso e nella ricchezza, mentre il padre lavora senza posa per tentare di mantenere in vita la piccola. Ma i medici gli assicurano che la figlia morirà, se non rivedrà la madre, ed egli non esita ad umiliarsi dinanzi alla moglie:
« Ti pregu, torna, Angila,
Santuzza sta malata;
lu to cunfortu portici,
è troppu scuraggiata.
Li medici mi dissiru
ca, suddu tu non torni,
mori tra peni e lacrimi,
mori tra li frastorni ».
Quanta differenza tra Pietro Caccamo, che con parole grige, umili, prive di ogni retorica, si umilia per la salvezza della figlia, e gli altri protagonisti di tante « storie », anche del­lo stesso Busacca, dotati di una sensibilità più virile, più popolare, se si vuole, ma tanto più dura e rigida!
Pietro finirà anche lui con l'uccidere la moglie fedifraga, ma la sua psicologia è delineata con note di toccante umanità ed è perciò molto più vera, se così si può dire, di quella di tanti altri personaggi dei cantastorie siciliani.
Naturalmente, la moglie rifiuta di tornare accanto alla figlia; Pietro le risponde che la morte della figlia significherà morte per tutti:
« ...si Santa arriva a moriri,
muremu tutti quanti ».
Segue immediatamente un breve, patetico dialogo tra il padre e la figlia morente:
« Santuzza mia carissima,
Ti Vogghiu beni assai,
varda quanti giucattuli,
figghiuzza, ti purtai ».
« Ma iu non Vogghiu bambuli,
vulissi sulamenti
la mamma, ppi pigghiarisi
l'urtimi mei lamenti ».

Si noti come due bellissimi enjambements diano alle parole di Santa un tono umile e dimesso, un tono di tristezza semplice e accorato.
Ma, fatalmente, Santuzza muore e Pietro, affidata la figlia appena spirata ai parenti, va ad uccidere i due amanti. Ed ecco, dopo il duplice omicidio, la triste, terribile conclusione della vicenda: il padre si suicida, dopo aver chiesto perdono alla figlia con parole semplici e commoventi:
« Figghiuzza mia, pirdunimi,
ca sugnu n'assassinu,
ma ora stamu nzemula,
starmi tutti vicinu ».
Segue, secondo il metodo tradizionale dei cantastorie, la morale:
Iu di cantari terminu
e dicu a tutti quanti:
li figghi non si lassunu
pp'amuri di l'amanti.
La « storia » è veramente interessante; la sua vicenda è, magari, da drammone strappalacrime, ma la sobrietà e la misura, tipicamente popolari, dello stile di Busacca le conferiscono un equilibrio espressivo esemplare.
Busacca probabilmente ha scelto una trama ben poco complessa perchè l'attenzione dell'uditore si rivolgesse alle passioni e ai sentimenti dei protagonisti; egli però non cade mai nel vano sentimentalismo.
A questa composizione è legato un mio ricordo personale. Non potrò mai dimenticarmi del retrobottega del caffè Manno di Piazza Indipendenza, a Paternò; in quella stanzetta piccola e grigia, seduto ad un tavolinetto rotondo, Busacca mi recitò questa composizione, e, mentre la recitava, immedesimandosi in quel che narrava, dimentico che i personaggi di cui parlava erano frutto della sua fantasia, pianse. Forse fu allora che cominciai a capire qualcosa del mondo dei cantastorie.
Ritornando alle composizioni scritte da Busacca già pubblicate, vorrei ora esaminare uno dei libretti più interessanti e importanti della produzione del nostro cantastorie, cioè il « Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu », composto nel 1969.
Il motivo del contrasto fra la Morte ed un altro personaggio allegorico è stato sempre molto diffuso nella tradizione dei cantastorie, se Alessandro D'Ancona, ha raccolto tre diverse versioni di esso (11): il contrasto fra la Morte e il Semplicista, fra La Morte ed un Guerriero, fra la Morte ed un Vecchio avaro; quest'ultima versione(12) si avvicina di più al nostro testo.
Il poemetto pubblicato dal D'Ancona ha però un anda­mento del tutto diverso dalla composizione di Busacca, perchè in esso la Morte si limita ad enumerare i nomi dei grandi uomini che essa ha vinto, argomento comune ai tre contrasti e che si trova anche in stampe e componimenti poetici popolari, mentre nei cosiddetti « Trionfi della Morte » o « Danze macabre » ' si fa la rassegna dei gradi sociali ed economici e delle professioni, naturalmente per significare che tutti sono soggetti alla morte.
Nel testo ottocentesco il vecchio avaro ha solo una parte secondaria e passiva e si limita a lamentarsi perchè deve lasciare i suoi possessi.
Al contrario, nel testo di Busacca il motore del dialogo è, come vedremo, il miliardario, che tenta in tutti i modi di allontanare un destino già segnato.
Dal punto di vista estetico, ritengo la composizione di Busacca superiore al testo ottocentesco, per vigore e vivacità del dialogo.
Peraltro i dialoghi tra la Morte e un personaggio tipico furono popolari anche in Sicilia, e infatti il Pitré potè raccogliere dalla tradizione orale due versioni del contrasto tra « La morte e l'ignorante » (13).
Particolarmente significativo, in uno di questi testi, è un accenno alla ineluttabilità della morte, che non fa distinzione di classe sociale (14):
Morte: O gnuranti, dda (all'altro mondo) tutti aviti a jiri
Principi, Papa, Re, omu di Statu!
Affine al contrasto tra il ricco e la morte è anche quello tra l'anima e il corpo, che ha antichissime tradizioni letterarie; di esso recentemente è stata pubblicata una versione in dialet­to siciliano (15). Un contrasto tra l'anima e il corpo era diffuso nella tradizione orale proprio a Paternò (16).
Si noti però che il contrasto fra l'anima e il corpo ha carattere morale, mentre le finalità della composizione di Busacca sono, come vedremo, prevalentemente sociali.
Ma veniamo alle sestine di Busacca. L'inizio del contrasto ricorda il famoso « Contrasto di due amanti », meglio conosciuto con il nome di « Tuppi tuppi »: (17).
M. (18) - Tuppi, tuppi. R. - Cu è? M. - La morti sugnu;
è giunta l'ura di canciari regnu.
R. - Ma iu di la me casa non mi scugnu
e nda l'autru munnu non ci vegnu;
siddu c'è qualchi tassa di pagari
pagu qualunqui summa di dinari.
Il pensiero del Ricco, anche di fronte alla Morte, corre subito al danaro; egli è disposto a pagare qualsiasi tassa pur di rimanere in vita; la risposta della Morte è semplice e decisa (si noti che, dopo la sestina iniziale, i due interlocutori pronunciano ciascuna una sestina per volta):
M. - E' la ricchizza ca ti fa sparrari,
iu non accettu nessunu valuri.
Sugnu la Morti, e non mi pò cumprari
nuddu rignanti e nuddu 'mpiraturi.
Iu sugnu la cchiù brutta fra li brutti,
ma sugnu onesta e precisa ppi tutti.
Ma il ricco, naturalmente, non si dà per vinto; la sua arma è ancora il denaro, ma, se prima esso veniva usato con una parvenza di liceità (la tassa), in questa sestina è lo strumento di una assurda corruzione:
R. - Pirchissu hai l'ossa sicchi e asciutti,
pirchì ccu chiddi ricchi non cuntratti;
tu ti farai cchiù grassa di tutti,
siddu ccu chiddi ricchi veni a patti;
facemu un pattu: un misi di ritardu
e pagu ogni ghiornu un miliardu.
La morte segue la terribile logica della disillusione: quel danaro, che sembra tanto importante al ricco, in effetti non ha alcun valore:
Nell'incisione su disco le battute dela Morte sono cantate, quelle del Miliardario declamate.

M. - Li to paroli, amicu, su sbagghiati;
li ricchi 'nda stu munnu ricchi siti,
ma 'nda lu munnu di la viritati
li ricchi mancu un sordu pussiditi;
dda siti tutti a lu stissu liveddu,
non c'è nè riccu e mancu puureddu.
Questo argomento dell'uguaglianza di tutti, ricchi e poveri, belli e brutti, di fronte alla morte, si trova già nei « Dia­loghi » di Luciano (19).
Naturalmente il Ricco non si arrende; egli arriva a rinfacciare alla morte il fatto che, per la sua inesorabilità, è odiata da tutti, specialmente dai ricchi. E la morte:
M. - Lu sacciu, amicu, e non m'importa nenti,
ed è pirchissu ca sugnu 'mpurtanti.
Non aiu amici e non aiu parenti,
ma portu la paura a tutti quanti,
speci a li ricchi, c'aviti piccati,
ca sariti a lu 'nfernu cunnannati.
Ancora una volta la Morte segue la sua terribile logica: coloro che si sentono importanti perchè ricchi, sono in realtà peggiori degli altri, perchè hanno oppresso e sfruttato il povero, e, mentre credevano di dover godere, saranno condannati a soffrire nell'Inferno (20).
Ma le parole della morte, quasi assurdamente, fanno sperare al Ricco di potere ancora usare la sua arma, la sua forza, il danaro:
R. - Dimmi di cui saremu giudicati,
quali sunu l'accusi ca faciti;
si nda ddu munnu ci sunu avvucati,
iu sugnu certu ca vingiu la liti,
e tu lu sai ca ccu li quattrini
addiventunu onesti l'assassini.
Per l'ennesima volta la Morte deve disingannare il ricco; il luogo in cui vanno è il regno della giustizia assoluta:
M. - Li hai strammati, amicu, li rutini,
forsi pirdisti attunnu la ragiuni.
Dda sùpira ci su l'Angili divini,
fanu difisi senza miliuni;
comu giudici c'è lu Patri Granni,
ca sacri e giusti spara li cunnanni.
E il ricco, allora, come un bambino viziato, comincia a fare le bizze:
R. - Allura iu non vegnu a nuddi banni,
mancu si comu un passiru mi spinni;
iu non ci vegnu mancu su mi scanni,
mancu suddu San Petru in terra scinni,
ci su tanti malati, ciunchi e storti,
pirchì non ti li pigghi e ti li porti?
Ma la Morte non risponde nemmeno a questa domanda del Ricco; essa lo incoraggia soltanto ad intraprendere l'ultimo viaggio. Il Ricco è ormai allo stremo: non può far altro che chiedere una proroga, appena il tempo di sistemare i suoi affari:
R. - E comu fazzu a lassari li vigni?
Comu fazzu a lassari 'sti campagni?
Li iurnateri mei, farsi e maligni,
si manginu li utti e li timpagni.
Dammi lu tempu almenu ca sistemu
li cosi cchiù 'mpurtanti, e poi partemu.
Ma la Morte, inesorabile, invita bruscamente il Ricco a sbrigarsi; i suoi fratelli, anch'essi condannati a causa della loro avarizia, lo attendono, perchè li aiuti «a fari pinitenza».
E finalmente il ricco si arrende, ma non smette di minacciare:
R. - ....Duranti stu viaggiu ti supportu,
ma, quannu arrivamu, mi mettu a rapportu.
E a questo punto la morte perde completamente la pazienza, e annunzia al Ricco che lo porterà direttamente all'Inferno senza ascoltare il giudizio divino:
M. - Fai l'insistenti finu dopu mortu?
Ormai finisti di fari lu spertu!
Senza sintenza a lu 'nfernu ti portu,
ca lu purtuni lu truvamu apertu;
sì cunnannatu 'nzemi a li tò frati
e 'nzemi vi scuntati li piccati.
In mezzo ai tormenti dell'Inferno, il Ricco, con un tratto che lo fa rassomigliare al ricco Epulone della parabola evan­gelica (21), si rivolge a coloro che sono ancora in vita perchè non seguano il suo esempio:
R. - Parenti e amici, ascutati, ascutati!
Mentri ca 'nda sta terra vivi siti,
faciti beni a tutti l'affamati,
ca dopu morti cumpinzati siti;
datici aiutu a lu debbuli affisu,
ca murennu trasiti 'n-Paradisu!
Naturalmente, secondo la tipica tecnica dei cantastorie, la composizione si chiude con la «morale», pronunciata dal cantastorie:
Spirannu, amici, ca fussi cumprisu,
stu gran duellu lu dichiaru chiusu;
lu ricchu nda lu 'nfernu vinni misu,
pirchì supra la terra fu schifusu.
Faciti beni mentri siti vivi,
'nnunga Busacca vi svirgogna e scrivi.
Accanto alla minaccia di una punizione ultraterrena, di tono profondamente religioso («E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli ») (22), è dunque presente anche la punizione terrena (« Busacca vi svirgogna »). Infatti, il fine della compo­sizione è principalmente sociale; al cantastorie interessa porre sotto accusa l'oppressione e lo sfruttamento, su cui si fonda la ricchezza, e darne una decisa condanna morale.
Ma anche dal punto di vista estetico questo contrasto è molto interessante. Soprattutto la figura del ricco è tratteggiata con una vivacità veramente notevole; quanta verità, in quel suo incaponirsi, minacciare, pregare, chiedere proroghe! Al confronto, la Morte riesce personaggio un pò freddo, troppo emblematico, e quindi senza la varia psicologia del Ricco.
Come accennavo precedentemente, anche come poeta lirico Busacca ha pregi notevoli.
Alcune sue composizioni sono raccolte in un libretto (simile a quelli che contengono le « storie ») intitolato « Raccolta di poesie siciliane di Cicciu Busacca », che fu stampato intorno al 1963. Vi sono raccolte undici liriche del nostro cantastorie (brindisi, composizioni « d'amuri » e di « sdegnu », corrispondenza in versi con altri poeti, ecc), composte sia in metri colti (sonetti, ottave epiche) che popolari (strambotti).
Ad esempio, la lirica più bella di questa raccoltina è uno strambotto, intitolato « Ppi la quarta figghia mia », e scritto da Busacca in occasione della nascita della quarta figlia:
D'intra la grasta di lu cori miu
tri rosi ci hannu statu villutati;
tri rosi, e a vardalli m'arricriu
di la manera comu su sbucciati.
Vinni giugnettu, e di 'n-celu scinniu
Natura, ccu li mani ammarazzati;
d'intra dda grasta ridennu scinniu
e li rosi su quattru addivintati.
La metafora del fiore per indicare l'oggetto del pro­prio amore è molto antica e diffusa nella poesia popolare sici­liana (23), ma di solito indica la donna amata. Qui è usata per indicare le figlie, e dà alla poesia un senso di freschezza e semplicità veramente pregevole.
A RUSIDDA
Rusidda, figghia bedda, vi chiamati,
ca lu culuri di li rosi aviti;
chi siti bedda, quannu mi vardati!
Cchiù bedda ancora, quannu m'arriditi.
Ccu lu vostru surrisu 'mbriacati,
ca 'n-surrisu 'ncantevuli tiniti;
siti na rosa di 'nvernu e di stati,
e stati e 'nvernu ciauru facitì.
DOPU DU MISI NI LASSAMU,
E CCI FICI STA CANZUNA DI SDEGNU
Piccatu ca Rusidda vi chiamati!
Vui di li rosi nudda forma aviti...
Vi chiamunu Rusidda e vi priati
e na vera rusidda vi criditi;
sulu lu nomu di Rosa purtati,
ma vui li rosi non li canusciti;
li rosi sunu frischi e profumati
e vui a lu cuntrariu fititi!
Non mancano, nel libretto, poesie di argomento scherzoso, come « Brinnisi a la taverna », in cinque ottave classiche, ognuna delle quali termina con la dedica di un bicchiere di vino ad uno degli amici che, si immagina, stanno seduti a bere ed ascoltare attorno al tavolo dell'osteria. Riproduco soltanto l'ottava centrale della composizione, in cui Busacca descrive gli... allegri effetti del vino:
Forza, vivemu, signuri e signuri!
Lu vinu li pinseri fa scurdari,
lu vinu fa canciari lu culuri,
porta tant'alligria e fa cantari;
lu vinu duna a l'omu lu valuri,
a li vecchi picciotti fa turnari,
e stu biccheri di vinu priggiatu
cci lu dugnu a ccumpari Nunziatu.
(9) Per la cronaca il primo disco, nel campo dei cantastorie, fu in­ciso da Busacca, mentre fu Rinzino a introdurvi la voce femminile.
(10) Le cause di questa evoluzione le ho espresse chiaramente, mi sembra, nel capitolo su Rinzino; principale fra esse è il diffondersi dei mezzi di informazione di massa, cosicché il cantastorie è stato costretto ad abbandonare la sua tradizionale funzione di cronista e ad interessare il pubblico con altri mezzi.
(11) A. D'ANCONA, Poemetti popolari italiani, Bologna 1899, p. 134 e ss.
(12) « Dialogo curioso e dilettevole che fa la morte con un vecchio avaro, fatta dal Menchi di Cireglio », edito a Lucca, non dopo, a quanto pare, del 1820 (A. D'Ancona, op. cit., loc. cit.).
(13) PITRÉ' op. cit., vol. II, p. 400, n. 972; p. 402 n. 973.
(14) PITRÉ' op. cit., vol. II, n. 973, p. 403 vv. 21-22.
(15) M. RACITI, Un contrasto dell'anima del corpo in dialetto siciliano, in « Studi in onore di Carmelina Naselli », Catania 1968, pp. 319-360.
(16) M. RACITI op. cit. p. 358, nota 60.
(17) PITRÉ', op. cit., pp. 372-374, n. 969.
(18) Le indicazioni dei personaggi che pronunziano le battute mancano nel libretto a stampa, invece si trovano in un manoscritto autografo di Busacca, ora in mio possesso, dove appunto si trovano le sigle R (ricco) e M (morte). Ho avuto presente il manoscritto anche per quanto riguarda la grafia ed alcune varianti; in esso, il contrasto è intitolato « Lu riccu putenti e la morti pricisa ».
(19) LUCIANO, «Dialoghi dei morti», I (Diogene e Polluce), II (Creso, Plutone, Menippo, Mida e Sardanapalo) ecc.
(20) Sul giudizio divino si veda: M. RACITI, op. cit., p. 348 ss. (ma nel testo di Busacca non si fa cenno del libro dei peccati, menzionato invece nel contrasto tra l'anima e il corpo).
(21) LUCA, XVI, 19-31.
(22) MATTEO, XIX, 24.
(23) Senza andare a scomodare il contrasto giullaresco « Rosa fresco aulentissima », basterà consultare la raccolta di canti popolari del Pitré nella sezione « Bellezze della donna » (Pitré, op. cit.; p. 182, n. 12, p. 183, n. 14; p. 201, n. 57).
La metafora del fiore ritorna peraltro in due begli strambotti, uno « d'amuri » e uno « di sdegno », ma in essi sembra essere piuttosto un bisticcio con il nome della donna amata: