GUARDA CHI VITA FA LU ZAPPATURI

Giuseppe Ganduscio


canta Rosa Balistreri

                                       

 

 

GUARDA CHI VITA

FA LU ZAPPATURI

(Giuseppe Ganduscio)

Guarda chi vita fa lu zappaturi
chi notti e
jornu suda e 'un avi locu,
parti di notti e torna a
vint'uri
d'
invernu all'acqua

e d'estati a lu focu.

Di tanti gregni

'n ci resta na spica,
lu so travagghiu 'ngrassa li patruna,
po' vidi c'a
lu ventu s'affatica,
li so picciotti
chiancinu diuna.

E pensa cu la menti scuitata

l’amma a cangiari

sta sorta mischina. (due volte

GUARDA CHE VITA FA

LO ZAPPATORE

Guarda che vita fa lo il contadino
che notte e giorno suda e non ha pace,
parte di notte e torna all'imbrunire 
d'inverno all'acqua (1)

e d'estate al fuoco. (2)
Di tanti covoni

non gli resta una spiga,

il suo lavoro ingrassa i padroni
poi vede che invano s'affatica,

i suoi bambini piangono digiuni,
E pensa con la testa disturbata

dobbiamo cambiare

questa sorte meschina.

1) pioggia  2) sole

   

 

  II testo è di Giuseppe Ganduscio (Ribera, 6 gennaio 1925 – Firenze, 7 settembre 1963) poeta italiano ed illustre personaggio siciliano. Il poeta ha messo insieme varie frasi tipiche dei contadini che sudano e faticano per far arricchire con il loro lavoro i proprietari terrieri;  Rifacendosi ad una canzone trascritta dal Favara  “Ora ch'avemu mangiatu e avemu vivutu” canto di ringraziamento dei mietitori, Ganduscio ha scritto questa canzone di protesta nella quale il tema della dura fatica della vita del contadino s’interseca con la volontà di voler cambiare “questa sorte meschina” Canto di protesta, canto di lavoro, al centro c’è il contadino sfruttato, 16 ore di lavoro “sotto l’acqua o sotto il sole” “di tanti covoni non gli resta niente”, “il suo lavoro ingrassa il padrone” mentre i figli “piangono digiuni”. “E una sorte senza speranze e deve essere cambiata”. La terra a chi la lavora, il frutto della terra a chi “al vento s’affatica”.  La canzone è pregna di indignazione, d’ingiustizia sociale, di sudore, di sfruttamento ma non di rassegnazione ed è una delle canzoni più cantate da Rosa nei festival dell’Unità dove riscuoteva scroscianti applausi. Rosa racconta la vita del contadino ma è come se parlasse della sua vita, del suo lavoro: salare le acciughe, tagliare il vetro, fare la serva, tutti lavori duri e faticosi che la fanno identificare con il contadino. Ma non c’è rassegnazione, anzi c’è la volontà di lotta e la speranza di voler cambiare questa vita dura e dare la giusta retribuzione e dignità a chi lavora. Il verso è endecasillabo con accento tonico sulle sillabe 4/6/8/10